Autocefalia alla costantinopolitana
Atanasio Zoitakis, candidato di scienze storiche. Lettore alla cattedra della storia della Chiesa (Facoltà di storia, Università Statale di Mosca)
Oggi il mondo ortodosso è diviso. La situazione in Ucraina, Macedonia del Nord; Montenegro, Abkhazia non è tranquilla. Il motivo per l’agitazione è il problema di autocefalia. Manca il consenso: chi, in quali condizioni e come può dichiarare la nascita di una nuova Chiesa ortodossa autocefala.
Un esempio rappresentativo è la situazione nella Chiesa ortodossa delle Terre ceche e di Slovacchia. Quest’anno l’autocefalia di questa Chiesa, ricevuta dalla Chiesa ortodossa russa, compie 70 anni. Però il Patriarcato di Costantinopoli non riconosce questa autocefalia e il 27 agosto 1998 persino pubblicò il proprio “Tomos patriarcale e sinodale sulla consegna dell’autocefalia alla santa Chiesa ortodossa in Terre ceche e Slovacchia”. Da quel momento ogni tentativo dei cristiani cechi e slovacchi di ricordare il ruolo della Chiesa russa suscita una reazione abbastanza dura. Leggendo delle lettere dal Fanar, uno si stupisce delle formulazioni insolitamente taglienti per i documenti diplomatici. Il Patriarcato di Costantinopoli è scontento della “violazione degli accordi” e del “disprezzo del stabilito ordine ecclesiastico e canonico”. L’autocefalia del 1951 viene chiamata “illecita” e caratterizzata “un evento negativo, chiaramente non canonico e futile”. Costantinopoli esprime i “dubbi sulla sincerità e l’onestà” ed esige che “finalmente studino la storia e il diritto canonico... e che non provochino”, altrimenti minacciando le sanzioni e persino la revoca dell’autocefalia con l’esclusione dai “sacri dittici delle Chiese ortodosse autocefale”.
Tentativi di accordarsi
Fra le decisioni dei Concili ecumenici non ci sono i canoni che regolamentino la consegna dell’autocefalia. Proprio questo ha motivato i conflitti d’oggi.
L’idea di risolvere le difficoltà accumulate nel mondo ortodosso ad un nuovo Concilio panortodosso venne avanti all’inizio del XX secolo. In quegli anni i Primati delle Chiese ortodosse si scrissero attivamente ed ebbero grosso modo accordato una gamma dei temi da discutere al forum panortodosso. Le guerre mondiali, la rivoluzione russa, l’espulsione dei greci dall’Asia Minore e altri eventi ostacolarono la convocazione del Concilio. Ciononostante, dall’8 al 23 giugno 1930 nel monastero athonita di Vatopedi ebbe luogo una riunione dove i rappresentanti delle Chiese autocefale stipularono una lista dei temi degni della deliberazione conciliare. C’era fra di essi anche il tema “I prerequisiti e il modo della consegna dell’autonomia e dell’autocefalia”.
Nel 1961 a Rodi si svolse la Prima conferenza panortodossa con la partecipazione della maggioranza delle Chiese autocefale. La conferenza ribadì l’importanza della discussione del problema di autocefalia al prossimo Concilio. Alla I Conferenza preconciliare panortodossa nel 1976 il tema “L’autocefalia e il modo della sua dichiarazione” fu incluso nella lista dei 10 temi dell’agenda del Santo e Grande Concilio.
Nel novembre 1993 la Commissione inter-ortodossa di preparazione a Chambésy (Svizzera) finalmente cominciò a discutere il tema di autocefalia nella sua sostanza. All’inizio della seduta intervenne il segretario della Commissione il metropolita Damasceno della Svizzera, il quale informò in che cosa le Chiese ortodosse erano d’accordo e in che cosa le loro posizioni differivano. Citiamo qui alcune affermazioni più importanti della sua relazione:
- “tutte le santissime Chiese ortodosse sono d’accordo che è necessario un consenso panortodosso per la dichiarazione dell’autocefalia”.
- «La consegna canonica dell’autocefalia non è possibile senza la conferma di un preliminare consenso panortodosso”.
- “La base ecclesiologica e canonica dell’istituzione di autocefalia garantisce l’uguaglianza delle autocefalie di tutte le Chiese ortodosse autocefale”.
Alla fine della discussione delle Chiese autocefale (solo i Patriarcati di Gerusalemme e della Georgia erano assenti) ebbero praticamente accordato un testo del documento “L’autocefalia e il modo della sua dichiarazione”, secondo cui la consegna dell’autocefalia in futuro sarebbe possibile solo con l’approvazione di tutte le Chiese autocefale e “una Chiesa dichiarata autocefala verrebbe ammessa nella comunione delle Chiese ortodosse come uguale e avrebbe tutti i privilegi canonici comunemente stabiliti (i dittici, la commemorazione, le relazioni inter-ortodosse ecc.). Fra l’altro, n. 3 del documento annovera tra le condizioni necessarie per la consegna dell’autocefalia “il beneplacito della Chiesa-Madre e la garanzia del consenso panortodosso”. Dopo il compimento di queste condizioni nel processo sarebbe intervenuto il Patriarca ecumenico. “La Chiesa-Madre, ricevendo la richiesta di una sua regione ecclesiastica, esamina gli esistenti prerequisiti ecclesiologici, canonici e pastorali per la consegna dell’autocefalia. Nel caso il Concilio locale come organo ecclesiastico supremo acconsente, esso inoltra la proposta corrispondente al Patriarcato ecumenico per la ricerca del consenso panortodosso, informando le altre Chiese ortodosse autocefale”. E poi, nel punto b: “Il consenso panortodosso si esprime con l’unanimità dei Concili delle Chiese autocefale”. C’era solo da concordare come esattamente viene dichiarata l’autocefalia, concessa in base al consenso di tutte le Chiese autocefale: chi e come firma il documento appropriato.
Però sviluppare il successo raggiunto risultò impossibile. Per sei anni il Patriarcato di Costantinopoli, che presiedeva la Commissione inter-ortodossa di preparazione, non la convocava. Nel 1999 ci provò, ma questo tentativo andò a vuoto a causa della crisi ecclesiastica estone scoppiata tre anni prima. Il Patriarcato di Costantinopoli richiese la partecipazione alle riunioni, alla pari con le Chiese autocefale riconosciute, della cosiddetta Chiesa ortodossa autonoma estone, istituita sul territorio canonico della Chiesa ortodossa russa come un’autonomia del Patriarcato di Costantinopoli. Naturalmente, la Chiesa ortodossa russa non potè accettare un tale approccio.
Nel 2008 il Patriarcato di Costantinopoli rinunciò alle richieste precedenti e aprì di nuovo la possibilità di riprendere le trattative. La discussione del problema di autocefalia continuò alla riunione della Commissione inter-ortodossa di preparazione nel dicembre del 2009. A quella riunione una parte delle Chiese autocefale mantenne la posizione che un Tomos di autocefalia venisse firmato dal “Patriarca ecumenico come portavoce del consenso panortodosso”. A loro volta le delegazioni delle Chiese russa, serba, rumena, bulgara, polacca e di quella delle Terre ceche e di Slovacchia ritennero che un Tomos dovesse essere firmato dai rappresentanti di tutte le Chiese autocefale. Il n.3b nel 2009 diceva così: “Esprimendo il beneplacito della Chiesa-Madre e il consenso panortodosso, il Patriarca ecumenico ufficialmente dichiara l’autocefalia della Chiesa richiedente via la pubblicazione del Tomos di autocefalia. Questo Tomos viene firmato dal Patriarca ecumenico e testimoniato dalle firme dei Beatissimi Primati delle Santissime Chiese ortodosse invitati a questo scopo dal patriarca ecumenico”. Ma la questione del contenuto del Tomos e del modo della sua firma fu rinviata alla prossima riunione della Commissione inter-ortodossa di preparazione (2011).
Però nel 2011 il consenso di nuovo non fu raggiunto poiché il regolamento in vigore prevedeva l’approvazione dei documenti solo nel caso dell’unanimità di tutte le Chiese autocefale. Ma la soluzione del problema di autocefalia era vicina come mai prima. Nel novembre 2011 il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne (Decr) della Chiesa ortodossa russa metropolita Hilarion disse che “bisognava superare alcuni dettagli di tipo tecnico”. La sostanza del dissenso era la seguente: la delegazione del Patriarcato di Costantinopoli insisteva che la firma del Patriarca ecumenico sotto un Tomos di autocefalia fosse evidenziata in modo speciale (proponevano di fornirla con la parola “apothenete” (in greco – “decide”), mentre le firme dei Primati delle altre Chiese ortodosse autocefale con la parola “sinapothenete” (“decide insieme”)); la delegazione della Chiesa ortodossa russa espresse l’opinione che un Tomos andava confermato con le firme uguali dei Primati di tutte le Chiese ortodosse autocefale, ma al Patriarca di Costantinopoli, s’intende, veniva assegnato il primo posto fra gli uguali.
Ciononostante, nell’aprile del 2011 la questione di autocefalia fu temporaneamente tolta dalla discussione per l’iniziativa del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, il quale inviò le lettere alle Chiese ortodosse autocefale con la proposta di convocare il Concilio panortodosso e rinviare la discussione della questione controversa ai tempi migliori.
All’incontro (in greco “sinaxis”) dei Primati nel 2014 fu deciso che il tema di autocefalia sarebbe stato di nuovo discusso all’interno della Commissione preparatoria per poi presentarlo al Concilio panortodosso. Ma una tale discussione non ebbe luogo con il pretesto formale della mancanza di tempo. Eppure, nel 2015 i Primati delle Chiese ortodosse giorgiana, serba e bulgara nella loro corrispondenza con il Patriarca Bartolomeo sostennero la discussione del tema di autocefalia al Santo e Grande Concilio.
Nel 2016 all’incontro dei Primati delle Chiese ortodosse autocefale la Chiesa russa proponeva con insistenza di risolvere le differenze minori rimanenti a proposito della questione di consegna dell’autocefalia. Però il Patriarcato di Costantinopoli rifiutò, dicendo questo potrebbe causare un ritardo nella convocazione del Concilio panortodosso. Ancora una volta il Fanar promise di non intervenire negli affari ecclesiastici in Ucraina prima e dopo il Conclio. “Ci credemmo”, ha detto il presidente del Decr all’agenzia greca “Romfea”, “Pensavamo: se il Patriarca ecumenico dice così, infatti, facciamo il Concilio, come egli ci promette, e dopo continueremo la discussione del tema di autocefalia. Non dovevamo credergli, egli ci ha ingannati. In questo consisteva il nostro grande sbaglio”.
In effetti, il vescovo Kirill di Abydos del Patriarcato di Costantinopoli nel suo articolo “L’autocefalia ucraina” ha onestamente confessato che persino la ratificazione del documento sull’autocefalia dal Concilio di Creta non avrebbe cambiato nulla: Costantinopoli avrebbe continuato ad agire in base alla comprensione propria del suo “ruolo primario” nella Chiesa ortodossa.
Da “sorelle” a “figlie”
Basandosi su una particolare e libera interpretazione dei canoni, il Fanar ha cercato di giustificare il suo “privilegio unico di ricevere appelli dei vescovi e chierici” di tutte le Chiese ortodosse. E con il tempo, ha rivendicato le pretese di controllare tutta la diaspora ortodossa.
Anche la dottrina sull’autocefalia ha subito cambiamenti. Ancora nella metà del XIX secolo, dichiarando l’istituzione della Chiesa della Grecia, il Fanar affermò: “La Chiesa ortodossa nel Regno di Grecia d’ora in poi viene dichiarata e proclamata sorella spirituale della Chiesa-Madre di prima, il Patriarcato ecumenico”. Il Patriarcato ecumenico non sarà più “Madre”, ma “Chiesa-sorella” (Tomos del 1850). Occorre notare che, nonostante la Chiesa greca appartenesse alla giurisdizione di Costantinopoli, tutto fu deciso al convocato Santo e Grande Concilio con la partecipazione dei rappresentanti di altre Chiese autocefale.
L’autocefalia della Chiesa greca fu molto limitata, però per i Tomos posteriori la situazione è stata cambiata ancora di più e non in favore delle Chiese autocefale. Pubblicando i nuovi Tomos di autocefalia, Costantinopoli ha continuato a limitare i diritti delle Chiese autocefale (queste decisioni sono state prese in modo unilaterale, senza consultazioni con le altre Chiese). I documenti più vicini ai nostri tempi sono particolarmente rappresentativi. I Tomos consegnati alla Chiesa ortodossa delle Terre ceche e di Slovacchia (1998) e alla cosiddetta Chiesa ortodossa dell’Ucraina (2019) prevedono i diritti sostanzialmente ridotti.
Costantinopoli tiene il diritto di revocare l’autocefalia, regolamenta la struttura e i principi di governo, proibisce di prendere la cura pastorale dei fedeli all’estero, impone l’obbligo di ricevere l’olio santo dalla “Chiesa-Madre”, mantiene il diritto di monopolio di moderare le relazioni delle nuove autocefalie con le Chiese autocefale. Di fatto, Costantinopoli si proclama capo di tutte le Chiese autocefale, il che è scritto direttamente nel Tomos della così detta Chiesa ucraina: “La Chiesa autocefala in Ucraina riconosce come suo capo la Sede tutta santa, apostolica e patriarcale ecumenica, come anche gli altri Patriarchi e Primati”. Costantinopoli cerca di avere lo status unico di “tutore” di tutte le Chiese autocefale, che esercita la loro supervisione.
È ovvio che le pretese di Costantinopoli di avere il diritto “unico” di concedere l’autocefalia sono non solo prive delle ragioni storiche e canoniche, ma anche direttamente contraddittorie a tutti gli approcci alla questione concordati al livello panortodosso. Allo stesso tempo è necessario osservare che ancora 10 anni fa il Fanar stesso insisteva sul consenso panortodosso a proposito della questione. Eppure, ha concesso “l’autocefalia” alla Chiesa ortodossa in Ucraina senza una discussione della questione al livello panortodosso e l’approvazione delle Chiese autocefale, in contraddizione con i canoni ortodossi, cancellando così molti anni di lavoro per elaborare un consenso comune.