Relazione del metropolita Hilarion di Volokolamsk alla conferenza "La Chiesa e la pandemia"
Eminenza Reverendissima, Ecccellenze Reverendissime, Egregi Signori, cari padri, fratelli e sorelle!
La pandemia di coronavirus è stata una prova enorme e in gran parte inaspettata per il mondo intero. Questa emergenza globale ha messo in luce una serie di squilibri internazionali e sociali, per il superamento dei quali è più che mai necessaria la testimonianza e l'azione congiunta dei cristiani. Oggi siamo chiamati a riflettere sulle sfide che affrontiamo, in modo che nei prossimi mesi difficili, unendo le nostre forze, possiamo fare un contributo all’elaborazione di soluzioni adeguate dei problemi attualoi che diventano sempre più gravi e siamo in grado di presentare una visione di eventuali modi del loro superamento, condivisa dalle più grandi Chiese cristiane.
A questo proposito, è importante sottolineare che anche nelle nuove condizioni i principi generali, l'adesione ai quali i Primati delle nostre Chiese hanno dichiarato cinque anni fa, preservano il loro significato. Nel paragrafo 17 della Dichiarazione comune, il Papa e il Patriarca dichiarano: “Il nostro sguardo si rivolge alle persone che si trovano in situazioni di grande difficoltà, che vivono in condizioni di estremo bisogno e di povertà mentre crescono le ricchezze materiali dell’umanità.... La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali che si è stabilito”. La validità di queste parole è diventata ancora più evidente di fronte all’emergenza globale, che ha mostrato ancora più chiaramente la necessità di una solidarietà globale di fronte a una minaccia universale.
A livello statale, la disuguaglianza tra paesi poveri e quelli ricchi si è manifestata principalmente nel grado di severità delle misure di quarantena introdotte: mentre paesi con significative risorse finanziarie potevano permettersi di imporre restrizioni severi, nonostante i danni collaterali all'economia, paesi poveri e in via di sviluppo a volte erano privati di tale possibilità, anche quando ce n’era bisogno dal punto di vista sanitario. Allo stesso tempo, si è aggravato notevolmente il problema della povertà e della stratificazione sociale: a causa dell'accelerato trasferimento dell'attività imprenditoriale ed educativa in rete, le fasce più povere della popolazione, che spesso non hanno pieno accesso alle tecnologie moderne, si sono trovate in una posizione dicriminata, mentre la disoccupazione massiccia ha colpito molti milioni di persone in tutto il mondo.
Nelle relazioni interstatali si manifesta chiaramente l'egoismo nazionale, che ha ripetutamente oscurato considerazioni di solidarietà nei momenti più difficili della pandemia. In questo contesto, suscitano preoccupazione i tentativi di trovare "capri espiatori" sia all'interno che all'esterno dei confini dei singoli Stati, nonché la politicizzazione del tema della lotta alla pandemia e del superamento della crisi dei sistemi sanitari.
I problemi che affliggono la società non hanno risparmiato nemmeno le Chiese cristiane in tutto il mondo. La drammatica situazione della primavera scorsa e l'imposizione di severe restrizioni a qualsiasi forma di assembramento ha richiesto l'immediata adozione di una serie di misure da parte dell’episcopato della Chiesa ortodossa russa. Così, già l'11 marzo, alla riunione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa, è stata adottata una Dichiarazione sulla diffusione del contagio da coronavirus, in cui, in particolare, è stato sottolineato: “Durante le epidemie, la Chiesa ortodossa russa ha sempre adempiuto al proprio ministero di testimonianza, non rifiutando a nessuno l’assistenza spirituale e la piena partecipazione ai sacramenti. Chiediamo moderazione, buon senso e mantenimento della tranquillità nella preghiera, e insistiamo sul fatto che un credente non deve soccombere al panico e alle paure ... Allo stesso tempo, è inaccettabile essere noncuranti del contagio da coronavirus, trascurare le prescrizioni mediche, ignorare le misure preventive, mettendo in pericolo se stessi e gli altri ".
Il 17 marzo Sua Santità il Patriarca Kirill ha approvato le “Istruzioni per i rettori di parrocchie, abati e badesse dei monasteri della diocesi di Mosca in relazione alla minaccia di diffusione del contagio da coronavirus”, che è stata successivamente raccomandata dal Sinodo per l'uso in tutte le diocesi, parrocchie e monasteri della Chiesa ortodossa russa. Questo documento introduce una serie di misure antiepidemiche, che, da un lato, hanno in qualche modo cambiato, per la durata della pandemia, le consuete pratiche della partecipazione alla comunione e della venerazione delle icone e di altri oggetti sacri, ma d'altra parte, non sono qualcosa di inedito e si basano su autorevoli affermazioni dei santi padri, ma anche su una prassi stabile della tradizione cristiana dell’Oriente, e, in particolare, sulla ricca esperienza storica del Chiesa ortodossa russa. Queste linee di guida includono la raccomandazione di pulire il cucchiaino con cui si serve la comunioe con un panno imbevuto di alcol dopo ogni fedele, pulire il Vangelo e le icone dopo ogni bacio con una soluzione disinfettante, usare guanti igienici per la distribuzione del pane benedetto e astenersi dal baciare il Calice dopo la comunione. Allo stesso tempo, l'Istruzione ha sottolineato che "l'offerta del sacrificio incruento in nessun caso può essere cancellata, perché dove non c'è Eucaristia, non c'è vita ecclesiastica". Questa osservazione si è rivelata particolarmente rilevante alla luce dell'inasprimento delle restrizioni sui viaggi e sugli assembramenti nelle settimane successive e della generale complicazione della situazione epidemiologica, in relazione alla quale, il 29 marzo, Sua Santità il Patriarca Kirill ha chiamato i fedeli ad astenersi dal visitare le chiese fino a un permesso speciale. Sua Santità ha invitato tutti a "prendere su di sé una parte della fatica di Santa Maria Egiziaca" – una santa eremita, la cui memoria nella Chiesa russa viene celebrata in una delle domeniche di Quaresima - "per preservare se stessi, i propri parenti e amici, e, forse, anche per sentire la fatica della grande asceta, che ha vissuto gran parte della sua vita in solitudine ”.
Proprio in tali condizioni si sono svolti le celebrazioni liturgiche della Settimana Santa e della Resurrezione di Cristo, soprattutto a Mosca, ma anche in molte regioni russe. I servizi sono stati eseguiti per lo più senza la presenza dei fedeli che li seguivano attraverso numerose trasmissioni in diretta. Vale la pena notare che l'emergenza ha contribuito all'adozione accelerata di tecnologie rilevanti, prima utilizzate solo su scala molto limitata. Certo, la presenza “virtuale” al servizio divino non può in alcun modo sostituire la partecipazione reale, prima di tutto al sacramento dell'Eucaristia. Tuttavia, in quelle condizioni difficile, la diffusione delle trasmissioni non era soltanto causata da necessità pastorali e dalla preoccupazione per il bene comune, ma allo stesso tempo ha dato alla Chiesa, alcune opportunità missionarie. Stando a capo di una parrochiaa moscovita, posso testimoniare che durante l'intero periodo della pandemia decine di migliaia di persone partecipano a trasmissioni in diretta di servizi divini - molto più di quante ne possa contenere anche fisicamente la nostra chiesa parrochiale. In una tale situazione, la predicazione nel senso ampio del termine, vale a dire l'uso delle piattaforme telematiche per la trasmissione della Buona Novella e la presentazione alla gente della bellezza della Liturgia, acquista un significato particolare. Così possiamo sperare che quando l’emergenza attuale sarà superata, un numero crescente di persone venga nelle chiese consapevolmente.
Devo dire con rammarico che, nonostante la posizione inequivocabile ed equilibrata del Patriarca e dell’episcopato, non è stato possibile evitare completamente le vittime del contagio da coronavirus tra il clero e i monaci. Ciò era in parte dovuto a ragioni oggettive, in parte – alla propaganda dei singoli fanatici, alcuni dei quali sono già passati in un altro mondo. In questo senso, la pandemia ha evidenziato l'importanza della disciplina ecclesiastica, il che è particolarmente evidente nei momenti di emergenza.
In totale, durante la pandemia, sono morti più di 100 sacerdoti, tra cui alcuni vescovi, senza esagerare, autorevolissimi, che in tempi diversi erano legati al campo delle relazioni ecclesiastiche esterne. Tra loro ci sono l'esarca patriarcale emerito di tutta la Bielorussia, il metropolita Filaret, il metropolita di Kazan e Tatarstan Feofan, il metropolita Iov (Tyvoniuk), eparca emerito di Cheljabinsk e Zlatoust.
Si è già detto di alcune opportunità missionarie che ci sono state date durante la pandemia. È significativo che questa dura prova abbia inoltre reso possibile un'espansione significativa dell'attività caritativa della Chiesa. Sua Eccellenza il vescovo Panteleimon ne parlerà in dettaglio nella sua relazione, mentre io vorrei soffermarmi su un episodio di particolare significato, che può essere definito come continuazione del lavoro che abbiamo svolto insieme nei cinque anni, passati dall'incontro dell'Avana. Stiamo parlando dell’invio di aiuti umanitari alla regione Puglia da parte della Chiesa ortodossa russa, il che ha avuto luogo la primavera scorsa. In condizioni di grave carenza di dispositivi di protezione individuale e attrezzature mediche durante la prima ondata della pandemia, il presidente della regione si è rivolto a Sua Santità il Patriarca Kirill con una richiesta di assistenza "in nome di San Nicola ". Tale assistenza è stata fornita grazie al supporto di alcuni benefattori, tramite gli sforzi dei quali ad aprile a Bari è stato consegnato un carico umanitario di 8 tonnellate di materiale medico. Questo esempio di cooperazione anche nelle condizioni più difficili di chiusura delle frontiere e di imposizione di restrizioni ai viaggi ci permette di apprezzare ancora una volta la natura profetica delle parole del Papa e del Patriarca, che cinque anni fa hanno sottolineato che “le comunità cristiane portano avanti un’importante attività caritativa e sociale, fornendo un’assistenza diversificata ai bisognosi. Ortodossi e cattolici spesso lavorano fianco a fianco” (Dichiarazione comune, paragrafo 14).
In questa fase, il nostro compito comune è dare nuovo impulso alla cooperazione delle nostre Chiese nel campo del servizio sociale. Secondo l'apostolo Paolo, "la carità non avrà mai fine" (1 Cor. 13:8); queste parole dovrebbero diventare un imperativo per noi; un imperativo che spiega l'urgenza dello sviluppo della nostra cooperazione, nonostante le difficili condizioni esterne ed interne.
Spero che questa conferenza diventi un passo significativo verso la comprensione delle sfide, alle quali dobbiamo rispondere congiuntamente nella situazione attuale, nonché verso lo sviluppo di una visione comune dell’approccio cristiano alla loro risoluzione e lo scambio di esperienze. Ringrazio i partecipanti per l’attenzione e lascio la parola a Sua Eminenza il cardinale Kurt Koch.