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La testimonianza cristiana per unire l’Europa

La testimonianza cristiana per unire l’Europa

Il presente discorso è stato tenuto il 15 novembre 2002 dall’arcivescovo Hilarion Alfeev, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, al Simposio internazionale “La Sapienza come fonte dell’Unità d’Europa: Religione, Arte, Scienze”, alla Camera dei Deputati del Parlamento Italiano. Il testo, rivisto dall’autore, è stato pubblicato come introduzione al libro di Benedetto XVI Europa, patria spirituale, edito dal Centro di alti studi e di documentazione “Sofia: idea russa idea d’Europa”, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana, nel dicembre 2009.

La testimonianza cristiana per unire l’Europa.

Il punto di vista della Chiesa Ortodossa Russa

Viaggiando in Europa, specialmente nei paesi tradizionalmente protestanti, mi stupisco sempre nel vedere non poche chiese abbandonate dalle loro Congregazioni, specie quelle trasformate in pub, in club, negozi, o in luoghi di attività profana di altro genere ancora. Vi è qualcosa di profondamente deplorevole in questo triste spettacolo. Io vengo da un paese nel quale per molti decenni le chiese vennero utilizzate per scopi irreligiosi. Tanti luoghi di culto furono completamente distrutti, altri convertiti in “musei di ateismo”, ed altri ancora riadattati per destinarli ad istituzioni secolari. Fu questo uno dei tratti del così detto “ateismo militante” che ha dominato per settant’anni nel mio paese e crollò solo in epoca piuttosto recente. Ma in Europa occidentale, quale è la causa di fenomeni simili? Perché lo spazio della religione all’interno della società occidentale sì è ridotto in modo tanto rilevante nei decenni recenti? Come mai la religione ha sempre meno spazio nella sfera pubblica? E ancora: perché questa contrazione nella presenza religiosa in Europa è coincisa con i processi di consolidamento a livello politico, finanziario, economico e sociale?

Non tenterò di dare una risposta a tutte queste domande. Mi limiterò invece a qualche osservazione sul ruolo della religione nell’Europa moderna, sul possibile contributo delle Chiese e delle comunità religiose al processo di integrazione europea e sui modi in cui le Chiese possono sviluppare il loro rapporto col mondo. Parlerò sia da rappresentante ufficiale della Chiesa Ortodossa Russa, sia da persona la cui esperienza personale è maturata anche dal contatto con culture europee. Esporrò quindi non solo la posizione ufficiale della mia Chiesa, ma tenterò di offrire anche delle riflessioni personali.

1. L’integrazione europea ed il pericolo

del “secolarismo militante”

L’Europa è un fenomeno etnico-culturale unico. In un territorio comparativamente piccolo, coesistono culture diverse, ciascuna con la propria identità, lingua e tradizione plurisecolare. Nel corso della loro storia, le nazioni d’Europa sono state lacerate da contrasti che spesso sono sfociati in conflitti armati. Nella maggior parte dei casi, questi atti di aggressione erano il risultato di una collisione degli interessi politici dei singoli paesi, ma non di rado la loro origine fu di natura culturale.

Alcuni conflitti hanno avuto anche una dimensione religiosa, come quelli tra cattolici e protestanti o tra cristiani e musulmani. Certe rivalità interconfessionali ed interreligiose continuano ancora oggi: basti pensare all’Irlanda del Nord e al Kosovo.

Nell’epoca del colonialismo, quando il mondo venne ripartito dagli imperi europei nelle rispettive sfere d’influenza, le contraddizioni interne all’Europa assunsero una portata globale. Le due guerre mondiali del XX secolo, che coincisero con la disintegrazione del sistema coloniale, furono infatti guerre europee, poiché esse furono il risultato degli scontri tra gli Stati dominanti in Europa. Queste guerre, però, colpirono il mondo intero. Di più: svelarono un enorme potenziale distruttivo nel variegato conglomerato di nazioni e culture europee.

All’indomani della seconda guerra mondiale, quando l’Europa era in macerie, divenne evidente la necessità di una solidarietà pan-europea, e non solo per la sopravvivenza del continente, ma del mondo intero. Bisognava evitare a tutti i costi quella terza guerra mondiale che avrebbe potuto annientare l’intera razza umana. È per questo motivo che, immediatamente dopo il 1945, si iniziò a dare forma ad un sistema di vicendevole appoggio e solidarietà, ed ebbe inizio un processo d’integrazione dei paesi occidentali che mirava alla costituzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Anche la presenza di un “grande fratello” dietro la cortina di ferro spingeva l’Occidente ad adoperarsi per l’integrazione e l’unificazione.

In principio questo processo ebbe dimensioni solo economiche, militari e politiche. E tuttavia, col passare del tempo l’esigenza di uno spazio culturale comune, di un’unica civiltà europea, divenne sempre più acuta. Si ritenne così necessario sviluppare una nuova, universale ideologia che, riducendo le tensioni ideologiche e religiose che esistevano tra i diversi popoli, avrebbe potuto assicurare la tranquilla coesistenza tra le varie culture nella rete di in un’unica civiltà europea. Per creare un’ideologia di così ampia portata, era necessario ridurre tutte le tradizioni culturali, ideologiche e religiose d’Europa ad un denominatore comune. Il ruolo di tale denominatore fu assunto dall’umanesimo occidentale “post-cristiano”, i cui principi essenziali furono formulati nell’epoca dell’Illuminismo e “testati” durante la Rivoluzione francese.

Il modello di una nuova Europa basata su questa ideologia presuppone l’edificazione di una società dichiaratamente secolarista, nella quale la religione può avere spazio unicamente nella sfera privata. In conformità a questo modello secolarizzato, la religione deve essere separata sia dallo Stato che dalla società: non deve avere alcuna influenza sullo sviluppo sociale, né interferire nella vita politica. Un tale modello non solo riduce a zero la dimensione sociale di ogni religione ma costituisce una sfida per la vocazione missionaria di tante comunità religiose. Per le Chiese cristiane, questo modello rappresenta un’autentica intimidazione perché mina la loro possibilità di predicare il vangelo a “tutte le nazioni”, di annunciare Cristo al mondo. Se il modello secolarizzato verrà incondizionatamente imposto all’Europa senza tenere in alcuna considerazione il ruolo specifico che la religione ha nella società, allora essa sarà spinta nel ghetto, lì dove le sarebbe anche consentito di esistere, ma da dove le sarebbe sempre difficile emergere.

I fedeli della Chiesa Ortodossa Russa vissero in un ghetto tanti decenni. Quando nel 1917 salirono al potere i bolscevichi, uno dei primi decreti che essi emanarono fu quello “sulla separazione della Chiesa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa”. L’introduzione del primo principio, quello della separazione della Chiesa dallo Stato, era infatti attesa da tempo. Perché, sin dall’inizio del secolo XVIII, in Russia la Chiesa si trovava sotto il controllo dello Stato e cercava il modo per liberarsene. E tuttavia, separare la scuola dalla Chiesa significava che la Chiesa non avrebbe potuto svolgere più alcun ruolo nell’educazione. Poco dopo la rivoluzione, quando i bolscevichi adottarono la dottrina dell’ateismo militante, alla Chiesa fu vietata la gestione di alcun centro di istruzione proprio. Non le era permesso pubblicare né libri né periodici, né di insegnare religione a bambini ed ai giovani, né di invitare adolescenti alla divina liturgia come chierichetti. Per tanti decenni, sino agli anni ’80, era inimmaginabile vedere un prete all’interno di una scuola, o un insegnante andare in chiesa, o uno scolaretto prestare servizio in una chiesa. Il confine tra il ghetto e il mondo esterno era tenuto strettamente sotto controllo, ed i trasgressori, quali essi fossero, severamente puniti.

Nell’Unione Sovietica la religione fu perseguitata per settant’anni. Vi furono diverse ondate di persecuzione, ed ognuna ebbe un suo particolare carattere. Negli ultimi anni ’20 e negli anni ’30, le persecuzioni furono più crudeli. Gran parte del clero fu messa a morte; tutti i monasteri, le scuole teologiche e la maggioranza delle chiese furono chiuse. Un periodo meno brutale seguì alla fine della seconda guerra mondiale, quando alcuni monasteri furono riaperti insieme a qualche scuola. Negli anni ’60, ebbe inizio una nuova ondata di severe persecuzioni, che mirava al totale annientamento della religione che avrebbe dovuto compiersi entro l’inizio degli anni ’80. A metà degli anni ’80, però, la Chiesa non solo era ancora viva ma, di fatto, per quanto lentamente, essa stava crescendo. Mentre il sistema ideologico sovietico cominciava a decadere, questa crescita diveniva sempre più rapida e lo Stato guardava alla Chiesa con favore crescente. Erano dunque in atto notevoli cambiamenti nel rapporto tra Stato e Chiesa. Una cosa, tuttavia, non mutò mai: il divieto comminato alla religione di uscire da quel ghetto nel quale era stata confinata dal regime ateo. La Chiesa era esclusa sempre da qualsiasi possibile contatto con la vita della società che, a sua volta, era “protetta” da uno scudo contro ogni possibile influenza religiosa. Essere un credente significava essere un paria: temi riguardanti la fede non si trattavano apertamente, le proprie convinzioni religiose si tenevano nascoste e venivano evitate conversazioni su argomenti spirituali.

Ora, i processi che attualmente hanno luogo in Europa hanno qualche somiglianza con quelli nell’Unione Sovietica. Per la religione, il secolarismo militante è tanto pericoloso quanto lo fu l’ateismo militante. Tendono entrambi ad escludere la religione dalla sfera pubblica e politica, relegandola in un ghetto, confinandola nell’ambito della devozione privata. Le regole non scritte di “political correctness” vengono sempre più spesso applicate alle istituzioni religiose. In tanti casi ciò implica il fatto che i credenti non possono più esprimere le loro convinzioni apertamente, in quanto l’esprimere pubblicamente la propria convinzione religiosa potrebbe essere considerato una violazione dei diritti di coloro che non la condividono.

Si potrebbe aggiungere che in Occidente la stampa laica ha un atteggiamento in larga misura negativo nei confronti delle Chiese cristiane: la loro vita reale non interessa i giornalisti. Di solito essi sono interessati agli scandali tra le comunità o al loro interno. Non si può assolvere le Chiese dalla loro responsabilità per questi tristi episodi, ma la vita delle Chiese non è fatta solo di essi, e tuttavia sono solo episodi del genere ad essere seguiti abbondantemente dai media. Sorge questa domanda: Tale informazione negativa dei media costituisce un atto deliberato per minare la testimonianza cristiana nel mondo? E se così fosse, un tale comportamento potrebbe essere considerato come parte di una politica più vasta, che tende alla progressiva emarginazione del cristianesimo dalla società sino alla sua completa espulsione?

I risultati di questa politica sono abbastanza evidenti. In alcuni paesi, specialmente quelli che non sono a maggioranza cattolica od ortodossa, le maestose cattedrali che sino qualche decennio fa contenevano migliaia di fedeli in preghiera sono semivuote; i seminari teologici chiudono per mancanza di vocazioni; le comunità religiose non si rinnovano; le proprietà delle Chiese sono vendute; i luoghi di culto trasformati in centri per attività mondane. Ancora una volta è innegabile che in tanti casi sono le Chiese stesse responsabili della situazione, ma l’effetto distruttivo del secolarismo non va sottovalutato. La religione è realmente espulsa dalla sfera pubblica, sempre più marginalizzata dalla società secolarizzata. E questo nonostante il fatto che in tutto l’Occidente e in Europa in particolare la maggior parte della gente creda ancora in Dio.

Molti europei si pongono le stesse domande: come possiamo salvaguardare la testimonianza cristiana per il mondo? Come evitare che la società vada a fondo nell’abisso del secolarismo? Come riportare i giovani a Dio? Come costruire ponti tra la Chiesa da un lato e lo Stato, la società e i mass media dall’altro? La Chiesa Ortodossa Russa, con la sua esperienza unica di sopravvivenza alle più dure persecuzioni, alla lotta contro l’ateismo militante, riemergendo dal ghetto allorché la situazione politica cambiava, recuperando il proprio posto nella società e ridefinendo le proprie responsabilità sociali, può essere d’aiuto all’Europa per trovare risposte a questi interrogativi. La Russia e le altre Repubbliche dell’ex-Unione Sovietica, diversamente da tanti paesi dell’Europa occidentale, stanno vivendo un periodo di rinascita religiosa: milioni di persone tornano a Dio; ovunque si costruiscono chiese e monasteri. La Chiesa Ortodossa Russa che indubbiamente oggi è una tra le Chiese al mondo che crescono più rapidamente, non ha penuria di vocazioni: al contrario, migliaia di giovani entrano nelle sue scuole teologiche per consacrare la loro vita a Dio.

La Chiesa Ortodossa Russa compie seri sforzi intellettuali al fine di comprendere il ruolo del cristianesimo in un mondo secolarizzato, per definire il suo rapporto con la società e con lo Stato, affinché venga formulata con chiarezza la posizione della Chiesa nelle questioni chiave della modernità. “Le Fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa Ortodossa Russa”, documento adottato dal Concilio dei Vescovi del 2000, è la prova scritta del fatto che la Chiesa si accosta a questi problemi in maniera matura e responsabile, e che essa ha un potenziale intellettuale tale da essere in grado di dare ad essi risposte equilibrate e comprensibili. Una volta letto questo documento, che è il primo testo di questo genere nell’intera storia della Cristianità Ortodossa, ciascuno vede che esso appartiene ad una Chiesa che non vive più in un ghetto, ma si trova piuttosto nel pieno delle proprie forze. Danneggiata pesantemente dall’ateismo militante, questa Chiesa non è stata mai distrutta. Al contrario, è uscita dalla esperienza di fuoco della persecuzione rinnovata e ringiovanita. Discesa agl’inferi e risorta dai morti, questa Chiesa ha davvero molto da dire al mondo.

La situazione unica della Chiesa Ortodossa, la sua ricca esperienza nell’ambito dei rapporti Chiesa - Stato, il suo radicamento nella cultura europea, e il suo ruolo importante nell’edificazione di una nuova Europa, sono elementi riconosciuti dagli esponenti ufficiali dell’Unione Europea. Nella sua lettera del 16 Maggio 2002 al Metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, il Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi dichiara:

“L’Europa è un continente in cui più gruppi etnici vivono insieme, ciascuno con il suo volto, la sua lingua e la propria cultura. Tutti questi elementi interagiscono tra loro. Abbiamo un compito importante: lottare a favore di un loro ulteriore sviluppo all’unità salvaguardando i loro tratti caratteristici. È per questo che ritengo necessario e tempestivo il contributo culturale e spirituale della Chiesa Ortodossa Russa, così profondamente radicata in molte aree d’Europa e dei paesi confinanti. Ritengo questo contributo assai prezioso. La Chiesa Ortodossa Russa ha pieno diritto a promuovere il compimento del “Progetto europeo”: a questo è chiamata dalla sua storia, dalla sua tradizione cristiana e dalla sua stessa presenza ... Sono convinto che la collaborazione della Chiesa Ortodossa Russa è necessaria ad una nuova Europa” (vedi Europaica n. 1).

2. Come può la Chiesa Ortodossa Russa

contribuire al “Progetto europeo” per edificare

la nuova Europa?

Le parole di Prodi mostrano il mutuo interesse a collaborare tra Istituzioni politiche europee e Chiesa Ortodossa Russa. Quale può essere il contributo specifico della Chiesa Ortodossa Russa al “Progetto europeo”, come può la nostra Chiesa promuovere la sua realizzazione? Affrontò tali questioni Sua Santità il Patriarca Alessio II di Mosca e di tutte le Russie nella sua lettera del 3 ottobre 2002, che scrisse in occasione della inaugurazione della Rappresentanza della Chiesa Ortodossa Russa presso l’Unione Europea a Bruxelles:

“La Chiesa Ortodossa Russa opera allo scopo di dare un contributo creativo allo sviluppo delle fondamenta spirituali, filosofiche e morali della cooperazione tra i popoli d’Europa; e questo per mezzo dei suoi credenti che vivono nei diversi paesi ed anche attraverso il dialogo tra le autorità del Patriarcato di Mosca e le Istituzioni intergovernative europee (…).

La Chiesa Ortodossa Russa è pronta a collaborare con le Istituzioni dell’Unione Europea nel campo dello sviluppo di una dimensione integrale dell’Europa. Siamo pronti a prendere parte alle discussioni sul problema delle relazioni inter-etniche e interreligiose, e ad elaborare la legislazione che regoli lo status delle comunità religiose in Europa. E ancora: i rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa hanno qualcosa da dire circa i problemi connessi alla base filosofica della legislazione, sul dialogo tra le civiltà, sulla comune sicurezza europea, sulla prevenzione e sul superamento dei conflitti, sui problemi sociali, sull’etica applicata alle nuove tecnologie, sulle migrazioni, ecc.” (vedi Europaica n.1).

La Chiesa Russa è quindi pronta a collaborare con l’Unione Europea in vari settori di interesse comune. La domanda centrale in rapporto a essi è su quale sistema di valori si basa la legislazione europea, quale posto è concretamente assegnato alla religione.

L’interesse della Chiesa Ortodossa Russa in questa discussione è condizionato dal fatto che le sue diocesi e le sue parrocchie sono già presenti nei paesi dell’Unione Europea e che la sua presenza è aumentata con l’allargamento dell’Unione negli ultimi anni. Di più: questa discussione fornisce alla Chiesa Ortodossa Russa la tempestiva opportunità di riflettere, più in generale, sul ruolo della tradizione ortodossa in un Europa unita e di condividere le sue riflessioni con le Istituzioni politiche europee. L’allagamento dell’UE ha aumentato il significato e l’importanza delle diverse tradizioni culturali e religiose. Il loro impatto sul processo d’integrazione ed il ruolo da esse avuto nel formare un sistema di valori paneuropei sono stati sino ad ora piuttosto limitati. La tradizione ortodossa è una di quelle tradizioni. Insieme alle altre Chiese Ortodosse locali, la Chiesa Ortodossa Russa ha particolarmente a cuore la necessità di potenziare la dimensione spirituale e morale del processo di integrazione, permettendo che le posizioni ortodosse siano pienamente rappresentate nei documenti costituzionali dell’Europa.

Per la Chiesa Ortodossa Russa, non vi può essere un unico modello ideologico, né un singolo sistema di valori spirituali e morali da imporre indiscriminatamente a tutti i paesi europei. La Chiesa Ortodossa Russa vede un’Europa basata sul pluralismo autentico, un’Europa nella quale la diversità di tradizioni culturali, spirituali e religiose sia pienamente rappresentata. Questa pluralità di tradizioni deve essere riflessa in ogni documento legislativo e rispettata da ogni tribunale nelle sue sentenze. Se le leggi e se quelle sentenze sono basate esclusivamente sui principi radicati nell’umanesimo secolarista occidentale – con la sua particolare concezione di pace, tolleranza, libertà, giustizia, rispetto per i diritti umani, ecc. – esse rischiano di non essere accettate da una larga parte della popolazione europea, ed in particolare da quelli che, in virtù della loro appartenenza a una tradizione religiosa, hanno una visione diversa di quegli stessi principi.

Secondo la posizione ufficiale del Patriarcato di Mosca, rispecchiata della dichiarazione dal suo Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne fatta in connessione al lavoro della Convenzione sul futuro dell’Europa, il modello secolarista occidentale non presuppone normalmente nessun legame tra valori religiosi e ordine sociale. Al contempo, fattori religiosi giocano un ruolo cruciale nel formare le dottrine politiche e sociali in tanti luoghi al di fuori della civiltà occidentale. In alcuni paesi come l’Iran, la religione è assunta non solo come base dell’ordine sociale, ma anche della struttura politica. Vi sono delle regioni, come il Tibet, dove la religione penetra in ogni livello della vita sociale, costituendo, per così dire, la stessa identità nazionale del popolo. Questi esempi provengono da fuori dell’Europa: ma anche al suo interno possiamo trovare una grande diversità di atteggiamenti nei confronti del ruolo della religione nella società. Inoltre, l’influenza di diversi correnti religiose in Europa diventa sempre più visibile. Le questioni poste dalla Chiesa Ortodossa Russa sono dunque queste:

Se l’Unione Europea è chiamata ad essere la casa comune per tanta gente, come può il modello liberal umanistico secolarista circa la struttura politica avere il diritto di esercitare in essa un monopolio, un modello in gran parte riconducibile all’Europa occidentale ed al Nord America? Non dovremmo forse considerare maggiormente la crescita dell’influenza religiosa sulla società, in particolare dell’Ortodossia, ma anche di gruppi neo-carismatici e dell’Islam? Non è giunta l’ora di capire che la società che viene privata della possibilità di realizzare un’idea religiosa come suo elemento principale e centrale viene privata del suo stesso futuro? I terrificanti eventi in America del 2001 hanno mostrato quanto possa essere pericolosa la collisione tra due “progetti globali”, l’uno liberal umanistico e l’altro radical conservatore allorché ognuno di essi si reputi senza alternativa, e quando entrambi pretendano di esercitare un monopolio. La distruzione totale dell’uno da parte dell’altro che a volte è stata proposta apertamente non è una via d’uscita, piuttosto un suicidio. I partigiani della visione umanistico liberale secolarista devono accettare un autentico pluralismo d’idee e di opinioni in tutta l’Europa, devono riconoscere il diritto delle varie comunità di conservare le proprie identità culturali e spirituali, il nucleo delle quali è molto spesso è costituito dalla religione.

Queste osservazioni di carattere generale hanno portato il Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca ad avanzare sin dall’inizio proposte concrete rispetto alle clausole che dal suo punto di vista si sarebbero dovute inserire nel futuro e definitivo Trattato costituzionale dell’Unione. In particolare, dovrebbe essere riconosciuto che per tanti credenti sono i Comandamenti di Dio ad essere percepiti come la fonte di valori universali, mentre i non-credenti ritengono che tali valori abbiano differenti origini. Le organizzazioni religiose dovrebbero essere trattate come rappresentanti di un settore della società: dovrebbe essere rispettata e salvaguardata la loro libertà di avere una propria visione dei valori fondamentali. Nel trattato costituzionale per l’Europa, la libertà individuale deve avere un contrappeso nella libertà delle comunità culturali e religiose. Infatti anch’esse hanno il diritto di proteggere la loro integrità e preservare i valori sui quali si fonda la loro esistenza.

L’estendersi dell’Unione Europea verso l’Oriente, prosegue la dichiarazione del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne, non deve significare l’espandersi di standard estranei alla cultura ed al modo di vivere dei paesi che entrano o che stanno per entrare nell’Unione. La dittatura totalitaria di un tempo non deve essere sostituita da una nuova dittatura di meccanismi governativi pan-europei. Nell’UE allargata, ciascuna cultura e ciascuna nazione deve avere la libertà di esprimere la propria particolarità e deve avere accesso ai meccanismi decisionali.

Vi dovrebbe essere chiara divisione tra le responsabilità e diritti dell’Unione da un lato, e quelli degli Stati membri dall’altro. Per la Chiesa Ortodossa Russa, ogni Stato deve avere il diritto di legiferare come crede su quello che riguarda lo stato matrimoniale e quello familiare, sulle questioni di bioetica, sui modelli educativi. I paesi di tradizione ortodossa, ad esempio, non accettano leggi che legalizzano l’eutanasia, i matrimoni omosessuali, il traffico di droga, il mantenimento dei bordelli, la pornografia, ecc.

Inoltre, crediamo che ogni paese debba avere il diritto di sviluppare il proprio modello circa il rapporto tra Stato e Chiesa.

La legislazione che si limita unicamente a garantire ai cittadini il diritto alla libertà religiosa crea, nei fatti, le condizioni per una “concorrenza selvaggia” tra religioni e confessioni. Dobbiamo invece creare insieme le condizioni per le quali le libertà democratiche di un individuo, compreso il suo diritto all’autodeterminazione religiosa, non si scontrino con i diritti delle comunità nazionali a preservare la propria integrità, la fedeltà alle proprie tradizioni, etica sociale e religione. Sono elementi di particolare rilievo specialmente quando si tratta di creare una normativa relativa ai movimenti di carattere religioso distruttivi ed estremisti come pure quando si acquisiscono le prove di violazione della libertà religiosa da parte di religioni tradizionali, la cui espansione dentro alcune parti d’Europa minaccia l’ordine pubblico e sociale.

In molte democrazie europee la libertà religiosa del singolo individuo è bilanciata dalla protezione accordata alle confessioni tradizionali, sia a livello giuridico, sia al livello sociale. È necessario conservare la varietà di modelli circa il rapporto tra Chiesa e Stato che l’Europa intera ha ereditato dalla sua storia, permettendo ai singoli paesi ed ai singoli popoli di determinare liberamente il grado di compenetrazione tra Chiesa e Stato, della loro cooperazione in ambito sociale ed umanitario, come anche nel campo dell’istruzione, in quello della cultura, e in altri ancora.

Quanto detto mostra come la Chiesa Ortodossa Russa abbia già preso accuratamente in considerazione i problemi che riguardano il futuro dell’Europa, e come questi possano essere inseriti nei documenti fondanti dell’Unione Europea e nella legislazione europea. Il dialogo tra la Chiesa Ortodossa Russa e le Istituzioni politiche europee, è tuttavia solo all’inizio. C’è da augurarsi che questo dialogo porti a un arricchimento vicendevole e che la stessa Chiesa Ortodossa Russa possa approfittare di questa stretta collaborazione con le Istituzioni politiche europee. Per la Chiesa Ortodossa Russa, che cerca di definire compiutamente il suo rapporto con la società moderna, tale dialogo è essenziale.

3. Valori tradizionali e standard secolaristi

Consentitemi ora di tornare al tema dell’integrazione europea e di offrire alcune osservazioni riguardo le possibili conseguenze pratiche, qualora il sistema secolarizzato dei valori fosse imposto all’Unione Europea. Ove non si dovesse dare alcuna garanzia alle comunità religiose, collisioni e scontri tra le istituzioni religiose da un lato e mondo secolarizzato dall’altro, saranno inevitabili. Questi scontri potranno avere luogo a vari livelli e in rapporto a varie questioni, ma non è difficile prevedere che, nella maggior parte dei casi, verteranno su temi attinenti alla morale, che le comunità religiose da un lato e la società moderna dall’altro intendono in modo diverso. Vi è già un divario abbastanza lampante tra il sistema di valori esistente nelle religioni tradizionali e quello che è caratteristico del mondo secolarizzato.

Il seguente racconto, narrato dal Ministro per le Politiche dell’integrazione di uno dei paesi europei, ne dà esempio:

“Un leader islamico (...) asseriva pubblicamente che l’omosessualità è una malattia, al che vi fu una clamorosa reazione (...) non tanto all’opinione in sé – chiunque può avere opinioni diverse – ma perché era un’opinione espressa pubblicamente da parte di un capo religioso (...) gli omosessuali si sentirono minacciati, ed io, in quanto Ministro per le Politiche dell’integrazione, mi sentii obbligato ad avere una conversazione con il clero islamico ed i principali leader musulmani a livello educativo per dare una spiegazione circa l’impatto che dichiarazioni del genere hanno sulla tolleranza, sull’accoglienza ed il rispetto tra i cittadini e i vari gruppi etnici”.

A mio modo di vedere questo è un esempio tipico di collisione tra la posizione di un leader religioso da una parte, e gli standard della moderna società secolarizzata, dall’altra. Si possono fare a riguardo tre osservazioni. Anzitutto che l’omosessualità è vista dal suddetto Ministro per le Politiche dell’integrazione come un fenomeno comunemente accettato, e qualunque atteggiamento negativo o critico nei confronti di essa è da considerarsi “un’opinione diversa”. In secondo luogo si assume che, se i capi religiosi dovessero avere opinioni diverse, che non corrispondono cioè agli standard della moderna società secolarizzata, sarebbe loro consentito di averle, ma non di esprimerle pubblicamente. In terzo luogo un gruppo minoritario, quando si sente “minacciato” da una qualche dichiarazione di un capo religioso, è ritenuto bisognoso di protezione, e le autorità si sentono obbligate ad “avere una conversazione” con il leader in questione. Il racconto mostra quindi come i leader religiosi che hanno delle opinioni diverse possono agire a livello privato, ma non introdursi nella sfera pubblica: qualora oltrepassassero i confini del loro ghetto esprimendo pareri che sono in disaccordo con l’opinione pubblica, è necessario che le autorità della società secolarizzata intervengano.

Vediamo ora ciò che la Chiesa Ortodossa Russa dice a proposito di tale questione ne “Le Fondamenta della Dottrina Sociale” (XII.9):

“Le Sacre Scritture e l’insegnamento della Chiesa deplorano inequivocabilmente i rapporti omosessuali, vedendo in essi una distorsione della natura umana creata da Dio. La Chiesa Ortodossa afferma immutabilmente che l’unione matrimoniale tra uomo e donna, di statuto divino, non può essere comparata alle espressioni pervertite della sessualità. Ritiene l’omosessualità una distorsione peccaminosa della natura umana, che è possibile superare con l’esercizio spirituale che guarisce e la crescita personale dell’individuo. I desideri omosessuali, non diversamente dalle altre passioni che tormentano l’uomo caduto, sono sanate dai sacramenti, dalla preghiera, dal digiuno, dal pentimento, dalla lettura delle Sacre Scritture e degli scritti patristici, dall’amicizia cristiana con credenti che sono in grado di dare sostegno spirituale. Pur operando con responsabilità nei confronti delle persone con inclinazioni omosessuali, la Chiesa si oppone risolutamente ai tentativi di presentare questa tendenza peccaminosa come una ‘norma’ oppure come qualcosa di cui essere orgogliosi e da emulare. Questo è il motivo per il quale la Chiesa condanna ogni forma di propaganda omosessuale”.

Come potrebbero corrispondere queste dichiarazioni ai parametri della secolarizzazione occidentale? Non potrebbero essere percepite forse come una “minaccia” a gruppi omosessuali, come promozione dello spirito d’intolleranza? Non sarebbero obbligate le autorità statali ad intervenire, ad esigere uno “scambio di vedute” con i capi della Chiesa Ortodossa Russa, per convincerli a tenere per sé, di mantenere private le proprie opinioni? “Le Fondamenta della Dottrina Sociale” non è un manuale ad uso privato: è un documento pubblico nel quale la Chiesa Ortodossa Russa esprime le sue posizioni ufficiali apertamente ed esplicitamente. Il linguaggio del documento differisce da quello della società secolarizzata: la nozione del peccato, ad esempio, è praticamente assente dal vocabolario del secolarismo. Tuttavia, la Chiesa ritiene di avere il pieno diritto di esprimere le sue posizioni pubblicamente, non solo quando concordano con le opinioni generalmente accettate, ma anche quando discordano.

Vi sono tante altre posizioni articolate ne “Le Fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa Ortodossa Russa” che potrebbero non corrispondere agli standard del secolarismo. Per esempio, la Chiesa considera l’aborto “un peccato grave”, uguale all’omicidio, e dichiara che “dal momento del concepimento qualunque intervento contro la vita del futuro essere umano è criminale”. La Chiesa respinge anche, come “contro natura e moralmente inammissibile,” la cosi detta “maternità surrogata”, insieme a ogni forma d’inseminazione extracorporea. La clonazione umana è ritenuta una “sfida inequivocabile alla natura stessa dell’essere umano e all’immagine di Dio in essa impressa, di cui fanno parte integrante la libertà e l’unicità della persona”. La terapia fetale è considerata “assolutamente inammissibile”. L’eutanasia è condannata quale “forma di omicidio o di suicidio.” Cambiare sesso è considerato una “ribellione contro il Creatore” che la Chiesa non ammette: se si presentasse per ricevere il battesimo qualcuno di sesso diverso da quello originario, egli sarebbe battezzato secondo il “sesso al quale appartiene al momento della nascita”.

Sin quando la Chiesa Ortodossa terrà per se, riservate all’uso interno, tali posizioni, presumibilmente esse saranno tollerate dalla società moderna secolarizzata (la Chiesa Cattolica Romana ha posizioni simili). Ma cosa accadrebbe se un singolo paese dovesse adottare alcune di queste posizioni ed orientare su di esse la propria legislazione all’indomani dell’integrazione europea? Non sarebbe forse quest’atto considerato una deviazione dai comuni parametri europei? Sino ad ora ogni paese in Europa ha avuto il diritto di stabilire le proprie norme rapportandosi direttamente alla morale umana. È di importanza cruciale che, nella nuova Europa, ciascun paese continui a godere di questo diritto, e che nessuno standard livellante venga imposto ai membri dell’Unione Europea allargata. È d’importanza altrettanto cruciale che Chiese e comunità religiose abbiano il diritto di esprimere le proprie posizioni sulle questioni morali non solo privatamente ma anche pubblicamente, senza essere accusate di interferire con norme stabilite, di minacciare le minoranze o di promuovere uno spirito di intolleranza.

Alle Chiese deve essere riconosciuto il diritto di seguire le proprie tradizioni canoniche, preferendole alla legge secolarizzata nei casi in cui si verificassero sovrapposizioni ovvero un evidente contrasto. Secondo la Dottrina Sociale della Chiesa Ortodossa Russa, “quando la legge umana rigetta completamente la norma divina che ha valore assoluto, rimpiazzandola con una contraria, allora quest’ultima cessa di essere legge e diventa illegale, quali che siano le vesti giuridiche di cui si ammanta”.

Quindi, “in tutto ciò che concerne l’ordine esclusivamente terreno delle cose, il cristiano ortodosso deve obbedire alla legge, per quanto imperfetta e sfavorevole essa sia. E tuttavia, qualora il rispetto della legge minaccia la sua salvezza eterna e comporta l’apostasia o l’obbligo di commettere un peccato agli occhi di Dio e del prossimo, il cristiano è chiamato a professare con audacia la propria fede, per l’amore di Dio e della sua verità e per la salvezza della propria anima, per la vita eterna. Dovrà denunciare con mezzi legali la chiara violazione commessa dalla società o dallo Stato contro le leggi ed i comandamenti di Dio. E se tale atto dovesse rivelarsi impossibile o inefficace, allora egli dovrà passare alla disobbedienza civile” (IV.9).

Ovviamente, la disobbedienza alla legge civile è una misura estrema, che una Chiesa particolare può adottare in circostanze eccezionali. È tuttavia una possibilità che non bisogna escludere a priori, nel caso che un sistema di valori secolarizzati divenisse l’unico operante in Europa. Proprio al fine di scongiurare questa possibilità, la legislazione europea dovrà essere tanto inclusiva, da ammettere che sia rappresentata al suo interno una pluralità di posizioni, comprese quelle delle maggiori comunità religiose europee.

4. Una “anima per l’Europa” e la solidarietà

interconfessionale

Nel 1992, l’allora Presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, disse: “non edificheremo l’Europa solamente su fondamenta legali o sulla base di conoscenze economiche (…). Se, nel prossimo decennio, non avremo saputo dare un’anima all’Europa, se non saremo stati in grado di infonderle spiritualità e senso, allora la partita sarà persa”. Nel dire ciò, Delors molto probabilmente aveva in mente la necessità di riconoscere la dimensione spirituale dell’integrazione europea, e non il bisogno di inventare una qualche “spiritualità europea”. Certo, l’Europa ha un’anima ed una tradizione spirituale di secoli. È questa tradizione che deve essere riscoperta e ridonata all’Europa, in un tempo in cui vengono messi in discussione tutti i valori tradizionali.

Un altro ex-Presidente della Commissione Europea, Jacques Santer, affermò che “l’Europa è ispirata dall’umanesimo che si basa sulla eredità giudaico-cristiana” e che “questo fatto dovrebbe riflettersi nella Dichiarazione dei diritti fondamentali”. Concordando con questa dichiarazione in via di principio, vorrei specificare che l’importanza dell’eredità giudaico-cristiana non si limita ad aver dato forma alla civiltà dell’umanesimo: sia la tradizione giudaica che quella cristiana sono tradizioni vive, ed il loro valore, insieme a quello della tradizione islamica e delle altre maggiori religioni, deve essere pienamente riconosciuto e rispettato. Non è giusto assorbire indiscriminatamente tutte le tradizioni in un unico “denominatore comune” poiché non sempre i loro sistemi di valore coincidono con l’elemento di unificazione voluto.

Benché in Europa le Chiese e le diverse tradizioni religiose possono avere differenti posizioni sui singoli problemi posti dalla modernità esse sono unite nel chiedere che venga assicurato loro il diritto di preservare ed esprimere pubblicamente i valori in cui credono. Queste tradizioni hanno vitale importanza nel processo d’integrazione dell’Europa. Gran parte delle Chiese d’Europa, attraverso la Conferenza delle Chiese Europee e la Commissione Cattolica delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea, ha formulato proposte comuni riguardanti le Chiese e le comunità religiose nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea:

“L’Unione Europea riconosce e rispetta il diritto delle Chiese e delle comunità religiose ad organizzarsi liberamente in accordo con la legge nazionale, le loro convinzioni ed i loro statuti, e di perseguire i propri obiettivi religiosi nel contesto dei diritti fondamentali.

L’Unione Europea rispetta la specifica identità delle Chiese e delle comunità religiose ed il loro contributo alla vita pubblica e mantiene con esse un dialogo istituzionale.

L’Unione Europea rispetta e non pregiudica lo status che le Chiese e le comunità religiose hanno rispetto alle singole legislazioni nazionali degli Stati membri. L’Unione rispetta del pari lo status delle organizzazioni filosofiche e non-confessionali”.

Questi articoli, sottoposti alla attenzione della Convenzione sul futuro dell’Europa perché fossero inclusi nelle sezioni appropriate della futura Costituzione europea, riflettono l’idem sentire della Chiesa Cattolica, della Chiesa Ortodossa, delle Chiese protestanti e delle altre Chiese cristiane. Io credo che la solidarietà tra cristiani europei debba divenire sempre più manifesta man mano che progredisce il processo di definizione di un comune sistema di valori europeo. Sarà soltanto insieme che i cristiani, insieme con i rappresentanti delle altre religioni tradizionali in Europa, saranno in grado di salvaguardare la propria identità, combattere il “secolarismo militante” ed affrontare le altre sfide della modernità. La Chiesa Ortodossa Russa è pronta a collaborare a livello interconfessionale, a livello interreligioso, come a livello politico, a livello sociale e a tutti gli altri livelli con tutti coloro che non sono indifferenti alla futura identità d’Europa, con tutti coloro che credono che i tradizionali valori religiosi sono parte integrante di tale identità.

Vorrei infine commentare la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro l’Italia, vale a dire il divieto dell’esposizione dei crocefissi nelle scuole italiane. Questa sentenza va contro il diritto di ciascuno Stato a preservare le proprie tradizioni e la propria identità, offende perciò l’inviolabile principio dell’autentico pluralismo delle tradizioni. È una manifestazione inaccettabile di secolarismo militante. L’attività della Corte Europea non deve capovolgersi in cinica farsa. L’atteggiamento ultraliberista che ha prevalso nell’adozione di quella decisione non deve dominare in Europa. Le fonti dell’Europa sono cristiane. Il crocefisso è un simbolo universale, ed è assolutamente inammissibile che, per assecondare gli standard ultraliberisti e ateistici, si privi l’Europa e le sue istituzioni sociali dei simboli che per tanti secoli hanno formato e unito le persone. Il crocefisso non è simbolo di violenza, ma di conciliazione. Penso che in tutti questi ambiti possiamo collaborare con la Chiesa Cattolica difendendo la tradizione cristiana nei confronti del secolarismo militante e del liberismo aggressivo.

In tale quadro, vorrei in conclusione porvi la domanda seguente: stiamo noi costruendo un’Europa completamente atea e secolarista, dove Dio è espulso dalla società e la religione spinta nel ghetto del privato, oppure la nuova Europa sarà vera casa delle religioni diverse, diventando così autenticamente inclusiva e pluralista? Credo sia questa la domanda che le Chiese in Europa e le comunità religiose devono fare, una domanda alla quale i politici hanno il dovere di rispondere. È attorno a questa domanda che il dialogo tra le comunità religiose e le istituzioni politiche europee dovrebbe incentrarsi.

S.E. Hilarion Alfeev Arcivescovo di Volokolamsk

Presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca

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